Un giro del parco Pertini. Uno solo. Non di più. Poi si siede e lentamente riprende le forze. 32 anni, musicista che la crisi ha reso prima operaio e poi disoccupato. Un pianista che il Covid ha inchiodato nell’ospedale san Donato per quasi due mesi. 5 settimane in Terapia Intensiva in coma farmacologico. Poi, liberato dal Covid ma allo stremo delle forze, in Medicina. Infine il 23 dicembre, in viaggio verso casa per il Natale più bello della sua vita.
Più bello anche di quelli che da bambino viveva nella sua Romania.
Adesso Bogdan Daniel è a casa. Dall’appartamento che condivide con i genitori vede il parco centrale della città di Arezzo. Qui aveva capito, tra mamme con le carrozzine e anziani seduti sulle panchine, che la sua vita poteva finire.
“Il 19 ottobre avevamo festeggiato il suo compleanno – ricorda il padre Marcel. Era un po’ triste. Mi diceva che io alla sua età avevo già una casa, un lavoro e una famiglia. E lui ancora nulla”. In realtà Bodgan aveva fatto molto: in Romania aveva studiato al Conservatorio e aveva suonato anche in Austria e in Germania. Ma in Italia la vita è dura per un musicista e il peggio doveva ancora arrivare.
“Alla fine di ottobre ha avuto la febbre. Ha preso le medicine ed è migliorato. Ma non guarito. Stavamo passeggiando nel parco e lui ha cominciato ad accusare la fatica. Ansimava come un vecchio e si è dovuto sedere. Quando siamo rientrati a casa, ho chiamato il medico: ha visto che non aveva febbre e ci ha segnato alcune medicine. Non sono servite. Dopo pochissimi giorni, ho dovuto telefonare al 118. Stavolta le sue condizioni erano evidenti: il saturimetro indicava un valore del 20%. I sanitari hanno per un attimo pensato ad un guasto dell’apparecchio ma poi siamo corsi in ambulanza all’ospedale”.
Paura e angoscia. “Venti anni prima – ricorda Marcel – avevo portato mio padre in ambulanza e non aveva più fatto ritorno a casa. Ho temuto di perdere mio figlio”. Bogdan entra in terapia intensiva e le sue condizioni sono talmente gravi da essere messo in coma farmacologico.
“Al suo arrivo, il 2 novembre, le condizioni erano veramente gravi – ricorda Marco Feri, Direttore della Terapia Intensiva dell’ospedale San Donato di Arezzo. Lo abbiamo immediatamente intubato perché la sua era una forma di polmonite da Covid particolarmente preoccupante. Dopo oltre due settimane le condizioni erano migliorate tanto da indurci a estubarlo e a risvegliarlo”.
Bogdan non riesce, però, a respirare con la macchina e il 26 novembre viene tracheostomizzato. Rimane in questa condizione fino al 7 dicembre. “In coma farmacologico, con la famiglia che lo poteva ovviamente solo vedere – conclude Feri. E’ stato tra i casi più gravi che abbiamo avuto in tutta l’emergenza Covid”.
In coma e in isolamento ma non “invisibile” per la famiglia. “I medici e gli infermieri mi telefonavano ogni giorno. E ogni giorno guardavo quel telefono come se fossi un bambino. Non riuscirò mai a dire grazie a quei sanitari che mi raccontavano come mio figlio continuasse a essere vivo e a fare piccoli, piccolissimi passi in avanti. Me lo facevano vedere con il cellulare. Loro erano con lui, lo accarezzavano come fosse un figlio loro. Anche se lui non poteva sentire, gli parlavano. Non erano semplici uomini ma angeli”.
Un figlio in ospedale in gravissime condizioni. La moglie Anna e la figlia Loriana a casa con il Covid. “In quei giorni facevo il sugo e le spremute di frutta. Lavoravo e andavo avanti con il terrore che l’intera famiglia mi sfuggisse dalle dita. Se fossero morti, quale sarebbe stato il senso della mia vita?”. Quella famiglia per la quale aveva lasciato la Romania. “Nel 2001 Anna e Loriana erano venute in Italia dove era già mia cognata. Io e Bogdan eravamo rimasti nel nostro paese perché avevo una piccola azienda. Ma non riuscivo a stare lontano da mia moglie e mia figlia. E quindi anche noi abbiamo poi deciso di partire per l’Italia”.
Bogdan lascia la Terapia intensiva dopo 5 settimane. Non è più un paziente Covid ma non è nelle condizioni di essere dimesso dall’ospedale. Viene trasferito in Medicina.
“Ci è apparso subito uno dei casi più difficili connessi al Covid che fossero arrivati da noi – ricorda Gino Parca, Direttore di Medicina Interna al San Donato. Da noi è stato ricoverato il 9 dicembre. Abbiamo richiuso la tracheostomia che gli era stata praticata e iniziato il lavoro di riabilitazione: era rimasto immobile per 5 settimane.
Ha quindi ricominciato a camminare. Dopo altri 15 giorni di degenza lo abbiamo potuto dimettere ma abbiamo continuato a seguirlo con visite di controllo periodiche. La sua storia conferma quanto dobbiamo ancora apprendere sul Covid e come il rischio non sia solo per le persone anziane. Prima del Covid, Bogdan Daniel, era un giovane apparentemente in perfetta salute, alto e robusto”.
Il ricovero nella degenza no Covid di Medicina, ha permesso alla famiglia di rivederlo dopo quasi un mese e mezzo. “Un giorno il dottor Parca mi ha detto che mio figlio si è ripreso e può rispondere. Io corro in ospedale e per la prima volta ci parliamo. E’ disorientato: mi chiede cosa è successo e dove è. Delle cinque settimane in terapia intensiva non ricorda nulla. Il medico mi dice che non essendoci nessun altro paziente nella stanza con Bogdan, avrei potuto dormire con lui se avessi voluto. Non avrei potuto immaginare un regalo più bello”.
Il 23 dicembre Bogdan lascia l’ospedale San Donato. Il padre Marcel torna ai suoi lavori: consegna il latte ma coltiva anche un frutteto. La famiglia è di nuovo insieme.
“Bogdan sta bene ma non benissimo. E’ ancora affaticato. Va nel parco ma non riesce a fare più di un giro. Pensa alla musica. I problemi che aveva prima del Covid sono rimasti ma intanto ha combattuto e vinto una battaglia che nemmeno sapeva di affrontare. Noi ringraziamo Dio perché è lui che ci ha dato la vita ma anche tutti i medici e infermieri che sono stati capaci di salvare quella di nostro figlio”.